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Tratto dal capitolo VI di ELISA MAIORANO

Sanfilippo guardò la sveglia; erano le quattro e trentacinque del mattino.

«Ma porca buttana! Proprio sul più bello!» esclamò il commissario, accingendosi a rispondere.

Il centralinista del commissariato lo informò che c’era stato un incendio e avevano chiesto il loro intervento.

«E che faccio il pompiere, ora?» commentò, sbadigliando, il commissario.

«No dottore, il fatto è che hanno chiamato i vigili del fuoco perché hanno attrovato due cataveri.»

«Abbruciati?»

«Sissi, dottore, accarbonizzati. Però, dicono i pompieri che hanno attrovato pure due taniche di benzina.»

«Va bene, manda qualcuno a prendermi nel giro di una decina di minuti» ordinò, rassegnato, il commissario.

Montato sulla macchina che lo attendeva sotto casa, guidata dalla guardia Cipirrello, non poté fare a meno di ripensare al sogno fatto. «A me mi ci vuole assolutamente una donna!» mormorò tra di sé, intendendo una donna con cui formare finalmente una famiglia e condividere la sua vita.

«Ma pecchè, a signora ca vinia ‘un ci veni chiù?» chiese Cipirrello.

«Che signora?»

«Quella che veniva a farci le pulizie. Comu si chiama? Maria Concetta, mi pari.»

«Sì! Sempre viene, ma perché?»

« Lei, ora ora, ‘un dissi c’avi bisogno di una donna?»

«Ah, sì! Ma non intendevo una donna delle pulizie.»

«Ho capito commissario!» affermò la guardia, sorridendo maliziosamente.

«Cipirré, che hai capito?»

«Commissà, tra uomini semu. Ho capito che donna ci voli pi lei. Si permette, io ni canusciu una che è la fine del mondo. Fa certi servizi ca macari i morti fa risuscitari!»

«Cipirré, non hai capito un’amata minchia! Io non sto cercando una buttana. Ora guida e penza ai cazzi tuoi!» ordinò Sanfilippo cui l’inseguimento onirico, rimasto incompiuto, aveva lasciato un senso di frustrazione e nervosismo.

«Comu comanda lei, commissà.» Dopo qualche istante: «Però, io non è ca mi volevo intricari nill’affari sui; sulu mi pareva ca potevo essere utile».

«Scusami Cipirré, è che stamattina mi svegliai nervoso. Non ne parliamo più.»

«Allura, un ci l’avi cu mia?»

«No!»

«Sicuru?»

«Ti do la mia parola d’onore!»

«Pozzo stari tranquillo?»

«Cipirré, che debbo fare? Te lo debbo giurare sui miei cari morti? Ti ho dato la mia parola!»

«No commissà, quali giurare! La sua parola mi abbasta.»

Seguirono alcuni momenti di silenzio durante i quali i due uomini sembravano assorti in gravi pensieri. In realtà, Sanfilippo ripensava con rammarico al suo sogno interrotto sul più bello e si chiedeva quale sarebbe stata la conclusione se non l’avessero così bruscamente svegliato. Cipirrello, dal canto suo, stava considerando che, nel corso del dialogo precedente, la quantità di sputi che avevano raggiunto lui e il cruscotto dell’auto era considerevolmente inferiore a quella che, solitamente, il commissario elargiva quando parlava. Questo fatto, per certi versi positivo, lo metteva però in imbarazzo perché, curioso com’era, avrebbe voluto chiederne la ragione al superiore ma temeva, nello stesso tempo, di urtarne la suscettibilità. Alla fine, però, dopo aver distolto più volte lo sguardo dalla strada che stava seguendo per guardare Sanfilippo e studiarne lo stato d’animo, si decise.

«Commissà, che fa si offende si ci fazzu una domanna, diciamo accussì, indiscreta?»

«Dipende da quanto è indiscreta» rispose il commissario, distogliendosi dai suoi pensieri.

«No, nienti di particolare. Siccome parla megghiu, ci volevo addomannare come fu».

«Perché, vuoi dire che prima parlavo male?» rispose Sanfilippo, che aveva capito perfettamente cosa la guardia intendesse e, conoscendone la curiosità, voleva ora divertirsi a tenerlo un po’ sulle spine.

«No, commissà, non è ca volevo dire ca prima parlava male.»

«E allora perché hai detto che parlo meglio? Se dici che parlo meglio ora, è evidente che vuoi dire che prima parlavo peggio.»

«Ma non è ca parlava peggio è ca…, ca…»

«Ca, ca, ca; ma che mi vuoi sfottere? Che vuoi dire? Parla chiaro!» disse Sanfilippo con tono risentito, scuro in volto.

Cipirrello, cominciò a sudare oltremisura, maledicendo la sua linguaccia che lo cacciava spesso in situazioni imbarazzanti, facendo domande che irritavano gli altri. Inaspettatamente, il commissario sorrise.

«Cipirrè, stavo scherzando. Ho capito perfettamente cosa volevi dire. Cosa credi che non lo so da me che ho la erre moscia e che quando parlo sputacchio?»

«Commissà, io proprio questo volevo dire!» esclamò Cipirrello, rincuorato. «Meno male ca non si è offeso. Mi ero scantato; mi paria ca mi voleva cazziare. Ma come mai ora sputa meno?»

«Ti potrei ripetere di farti i cazzicelli tuoi, però, siccome in fondo mi hai fatto un complimento, ti voglio dare soddisfazione. La verità è che sto seguendo una terapia»

«Ma perché, c’è pure una cura per chi sputacchia quannu parla?»

«Certo che c’è e si chiama logopedia; è una terapia che serve, appunto, a correggere i difetti del linguaggio.»

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