Lo schiavo di Pompei è un thriller storico di Philipp Vandenberg, pubblicato nell’anno 1987 dalla casa editrice Sugarco Edizioni.
Lo scrittore Philipp Vandenberg pseudonimo di Hans Dietrich Hartel , nato a Breslavia,il 20 settembre 1941, è uno scrittore, giornalista e studioso di storia dell’arte e di archeologia che ha al suo attivo numerose opere sull’antichità che hanno riscosso un grande successo in tutto il mondo. È autore anche di una serie di mystery archeologici. Ha esordito con il romanzo “La maledizione dei Faraoni” divenuto un best seller a livello mondiale. Altri suoi romanzi sono “Nefertiti”, “Ramsete il grande”, “Tatankhamon il faraone dimenticato”, “Avventure Archeologiche”.
L’azione si svolge in un periodo storico che va dall’anno 62 d.c. (quando un violento terremoto, intorno al 5°/6° grado della scala Mercalli, causò diversi danni alle città di Pompei, Ercolano e Stabia), all’anno 79 d.c.( quando fu l’eruzione del Vesuvio a portare distruzione e morte a quelle città) ed è ambientato a Pompei (l’orgoglio campano di Venere) e a Roma.
Tanti sono i protagonisti di questo romanzo.
Protagonista è Afrodisio, giovane e avvenente liberto del ricchissimo banchiere Sereno, testimone del violento terremoto che nell’anno 62 d.c. devasta Pompei, a causa del quale perde i genitori, la casa, il lavoro e la vindicta, la verga con la quale il padrone compì l’atto della manumissione. Disperato vaga tra le macerie della sua città, meditando il suicidio, quando incontra Gavio uno schiavo bitino, furbo e intraprendente, che gli infonde coraggio e gli propone di andare a Roma dove Afrodisio, grazie ad incontri più o meno probabili e alle sue capacità imprenditoriali diventa molto ricco, tanto da suscitare invidie pericolose. Temendo per la propria vita, Afrodisio torna a Pompei insieme al suo fedele Gavio, al figlioletto e a Leda, una ragazza cristiana, che ha salvato dalla crocifissione e per la quale nutre un amore tormentato. Presto, però, Afrodisio si renderà conto che anche nella sua città sarà costretto a guardarsi le spalle, avendo suscitato l’odio di Eumachia, la bella, ricca e potente sacerdotessa di Apollo. Il finale, sorprendente, sarà tragico ma Afrodisio, incredibilmente, avrà modo di rallegrarsene.
Protagonista è anche un misterioso pugnale dal manico rosso e leggermente ricurvo in cui Afrodisio s’imbatte, per la prima volta, quando lo vede piantato nel collo di Sereno e che lo perseguiterà negli anni a venire e fino agli ultimi istanti della sua vita quando, finalmente, scoprirà a chi appartiene la mano che lo impugna.
Protagonista è il Vesuvio che incombe minaccioso, come una belva pronta a ghermire la preda, aspettando di poter realizzare la terribile profezia contenuta nei vaticini della Sibilla cumana, secondo i quali Pompei sarebbe stata distrutta dal fuoco, con uomini e animali.
Protagonista massima è, però, la storia. La storia di Pompei, “la vellutata cotogna nel giardino di Venere”, ricca e superba, tanto che all’indomani del terremoto “la gente parlava di vendetta divina per l’orgoglio, l’alterigia e la sete di vita dei Pompeiani”. La storia di Roma, città piena di fermenti, politici e religiosi, dove anche un liberto che non possiede altro che le sue capacità può diventare ricco e potente, salvo poi a dover diffidare di tutti e a dover temere i nemici ma soprattutto gli amici. Roma, capitale di un impero grande come pochi al mondo, che la follia e la dissolutezza dei suoi imperatori, da Nerone in poi, trascinano inesorabilmente verso un tramonto triste e inglorioso.
Gli appassionati di archeologia apprezzeranno la descrizione fedele e particolareggiata della città di Pompei, con il Foro, centro politico, religioso e commerciale, con il macellum “non un semplice mercato coperto dove i venditori che venivano dalla campagna offrivano la loro merce” ma uno spazio grande come un intero isolato sormontato da una rotonda con dodici colonne che sostenevano la cupola; con uffici commerciali, taverne, templi, come quello di Apollo, il più grande della città, ornato da un’interminabile sequenza di pitture parietali che rievocavano le scene dell’Iliade. Accurata e fedele anche la descrizione delle case dei ricchi Pompeiani, con le pareti adornate di affreschi in cui domina il colore rosso, il colore “di cui gli abitanti della città si beavano, amavano il misterioso lusso di quella tinta e lo identificavano con la morbidezza, con la crudeltà e il sesso”; con l’atrium “era un vasto locale senza mobilio, molto alto e provvisto del consueto foro circolare nel soffitto, attraverso il quale si vedeva lo stupendo cielo azzurro della Campania”; con il viridarium, il giardino interno, spesso adornato di piante esotiche; con l’impluvium, la vasca che raccoglieva l’acqua piovana, spesso usata anche da pesciera per i pesci rossi; con il tablinum, il triclinium e così via.
Per finire una riflessione: Noi uomini ci crediamo padroni dell’universo, del destino e delle nostre vite ma basta un colpo di tosse della terra, un vulcano che erutta, un monte che si scrolla un po’ di polvere di dosso per porre fine a tutto ciò che siamo e che abbiamo creato.
Michele Zoppardo
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