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Immagine del redattoremichelezoppardo

RECENSIONE DEL ROMANZO “LA MORTE NERA”di Gwyneth Cravens e John S.Marr

LA TRAMA

New York, anno 1978. La peste bubbonica si diffonde rapidamente nella megalopoli statunitense, portata da una ragazza che ha contratto l’infezione mentre si trovava in vacanza, probabilmente in seguito a un contatto con un animale selvatico. Il bacillo galoppa, veicolato da pulci e topi. Invade, dapprima i quartieri poveri, per poi diffondersi dovunque. È epidemia. Le autorità sanitarie cercano di arginare come possono il diffondersi della malattia, tentando di individuare e isolare le persone via via contagiate. I medici e gli infermieri sono in prima linea e pagheranno un grave tributo per la loro dedizione. Le autorità politiche e militari, chiuse nelle stanze del potere, discutono di ipotesi complottistiche e di possibilità di attacco da parte del nemico sovietico, data la vulnerabilità della nazione. L’epidemia dilaga e coglie vittime a migliaia. I cadaveri insepolti affollano le corsie degli ospedali, dove il personale sanitario è stato decimato, e le strade. Nella città è il caos; non c’è più legge e dominano le bande che se ne sono impossessate. Il diffondersi dell’infezione va arginato a ogni costo, perché non si può permettere che si estenda al resto del paese. Quale la soluzione? L’intervento della Guardia Nazionale per ristabilire l’ordine e soccorrere la popolazione, come sperano le autorità locali? Oppure una ben più tragica alternativa, fortemente voluta dalle autorità di Washington?

Tra i protagonisti del romanzo spiccano il dottor David Hart, direttore dell’ufficio Prevenzione Malattie del Dipartimento Sanità e Igiene di New York, e Dolores Rodriguez. Hart è un uomo disilluso “ Un tempo Hart s’era dedicato alla salute pubblica, nella convinzione che si potesse cambiare la natura. Adesso non credeva più a niente… Non credere lo aiutava a lavorare più sodo, senza sentimentalismi…”, che si porta dentro un grande dolore per la recente morte della moglie. “Lei era morta e lui era ancora lì. Era medico e non ce l’aveva fatta a guarirla. Adesso odiava la vita ma non sapeva come farla finita”.

Doleres è la bella infermiera di cui Hart si invaghisce “… il suo corpo caldo e pieno, i suoi zigomi da india maya gli fluttuavano nella mente… La bocca era morbida e rossa come un succulento frutto tropicale. Portava i capelli neri e lisci raccolti dietro le orecchie”.

Nell’atmosfera surreale della vicenda, si insinua la loro tenera storia d’amore.

LA RECENSIONE

Un romanzo, scritto nell’anno 1977, tristemente profetico alla luce della tragica emergenza sanitaria che il mondo sta vivendo a causa di un nemico invisibile e micidiale che ha stravolto la nostra esistenza. Una storia che solo un paio di anni fa sarebbe sembrata fantascienza e nella quale oggi, per molti versi, ci riconosciamo.

La scrittura, a quattro mani, scorre liscia come l’olio e le competenze dei due autori, Gwyneth Cravens e John S. Marr, giornalista lei, epidemiologo lui, si armonizzano perfettamente. Il romanzo non è un thriller ma ne assume le cadenze nelle tante circostanze in cui i due autori sanno creare tensione riguardo all’esito di situazioni, più o meno pericolose, in cui i protagonisti, e particolarmente il dottor Hart, si vengono a trovare coinvolti e, sopratutto, nell’attesa angosciosa per la scelta della soluzione finale.

Le mie considerazioni

Le analogie e le differenze tra la vicenda fantastica eppure realistica ( perché è pur vero che la peste bubbonica, a intervalli regolari, ha funestato l’umanità) e l’epidemia di Covid-19 dei nostri giorni, sono evidenti e mi sembra superfluo sottolinearle.

Ciò che è importante rimarcare è il messaggio di speranza nascosto tra le righe del romanzo.

Nella prefazione vengono riportate le parole scritte, nell’anno 1349, da John Clyn, “Frate minore del Convento di Kilkenny”, mentre era in punto di morte a causa “di una pestilenza così contagiosa che chiunque toccasse i malati o i morti era immediatamente infettato e moriva…Lascio”, scrive il monaco “della pergamena per continuare l’opera nel caso che qualche uomo sopravviva e un rappresentante della razza di Adamo sfugga a questa pestilenza.

È racchiuso in queste terribili parole il messaggio di speranza, perché i rappresentanti della razza di Adamo sono sopravvissuti a quella come a tante altre catastrofi epocali di ogni tipo che hanno colpito l’umanità da che conosciamo la sua storia e sopravvivranno anche alla peste romanzata del 1978. Sicuramente supereremo anche la pandemia dei nostri giorni, pur lasciando molti morti sul campo, e auguriamoci di poterne uscire migliori di prima.

Michele Zoppardo


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