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Recensione del romanzo “Il mercante di libri maledetti” di Marcello Simoni.

So già che qualcuno dirà che recensire un romanzo che ha venduto 500.000 copie e ha vinto il premio “Bancarella” è come camminare su un tappeto di velluto rosso. Questo è vero se non si tiene in debito conto la difficoltà di dire qualcosa di nuovo su un romanzo su cui è stato detto molto e autorevolmente; tuttavia, ci provo perché più ardua è l’impresa, maggiore sarà il merito in caso di riuscita.

Il Mercante di libri maledetti” è un thriller di Marcello Simoni, pubblicato dalla casa editrice Newton Compton nel 2011 e vincitore, nel 2012, del premio “Bancarella”.

Lo scrittore è nato a Comacchio nel 1975. Laureato in Lettere, ex archeologo e bibliotecario, ha pubblicato diversi saggi storici e racconti. “Il mercante di libri maledetti” è il suo primo romanzo, cui faranno seguito “La biblioteca perduta dell’alchimista” e “Il labirinto ai confini del mondo” che chiude la trilogia che vede come protagonista Ignazio da Toledo. Altri suoi romanzi sono “L’armata del diavolo” e “L’isola dei monaci senza nome”.

L’azione si svolge tra il 1205 e il 1218.

Un manoscritto, l’Uter Ventorum, in possesso di un misterioso monaco, conteso da un potente nobile veneziano e dalla Saint - Vheme, il terribile tribunale segreto nato in Germania. Due gli uomini al servizio dei contendenti; rispettivamente, Ignazio da Toledo, un mercante di reliquie, Mozarabo, che custodisce un segreto personale e Slawnik, un armigero possente e implacabile.

La caccia all’Uter Ventorum porterà entrambi attraverso il nord Italia, la Francia e la Spagna, in un susseguirsi di inseguimenti, complessi enigmi da risolvere, cruente battaglie e incontri con strani personaggi.

Ma quale segreto prezioso cela l’Uter Ventorum per far sì che chi cerca di entrarne in possesso sia disposto a rischiare tutto, anche la vita? Il mistero è presto svelato: il potere di evocare gli angeli per ottenere da loro la rivelazione dei segreti celesti.

Esisterà davvero un tal manoscritto? Avrà realmente il potere ipotizzato? Chi riuscirà a venirne in possesso? Questi gli interrogativi che un sorprendente finale svelerà.

Ciò che affascina nel romanzo di Simoni, al di là della trama, pur coinvolgente, ricca di tensione, incertezza ed aspettative, è l’atmosfera che si respira in questo romanzo; quell’atmosfera cupa eppure fascinosa del basso medioevo, fatta di tetri monasteri, che custodiscono preziosi tesori ma anche intrighi e misteri; di fervori religiosi benedetti e approvati da Santa Madre Chiesa, perché ossequiosi dei suoi dettami, e di altri considerati eretici perché quei precetti contestano e, per questo, combattuti e perseguitati; di potenti e iniqui tribunali segreti; di Santa Inquisizione; di roghi; di nebbie; di paludi; di ricerche alchemiche; di Crociati che compiono stragi in nome di Dio. Tutto questo Simoni, più che raccontarlo ce lo fa vivere attraverso gli occhi e le parole dei suoi personaggi, dimostrando una conoscenza profonda di quel periodo storico e degli eventi ad esso connessi. Il lettore viene coinvolto al punto da sembrargli di penetrare nel romanzo, diventando anch’egli compagno di Ignazio nelle sue peregrinazioni, imbarcandosi con lui, camminando con lui, cavalcando con lui, visitando con lui abbazie e basiliche, e per lui parteggiando e ricavandone l’impressione che l’autore abbia realmente vissuto o comunque visitato i luoghi della narrazione in quel terzo secolo dopo l’anno mille, così da poterceli descrivere com’erano allora.

Efficace la caratterizzazione dei personaggi principali e secondari, anche dal punto di vista psicologico:

1. Ignazio da Toledo (Il capo completamente rasato e la barba plumbea gli conferivano un’aria dottorale, ma erano gli occhi a catturare l’attenzione: smeraldi verdi e penetranti incastonati fra rughe geometriche. La sua tunica grigia, coperta da un mantello con cappuccio, emnava la flagranza delle stoffe orientali intrise di aromi per il tanto viaggiare. Alto, magro, camminava appoggiandosi a un bordone), colto, intelligente e scaltro, animato da un’inestinguibile sete di conoscenza, costretto da un destino avverso a peregrinare per il mondo, lontano dalla propria casa e dall’amata moglie. Come non ravvisare in lui similitudini con l’omerico Ulisse e in Sibilla, sua moglie, che lo attende paziente, innamorata e fedele, con Penelope?

2. Slawnik, il boemo rampollo di una casata nobiliare decaduta, disposto a tutto pur di riguadagnare il prestigio perduto, roso da un furore cieco a causa di una condizione di sudditanza cui non è avvezzo, con i suoi conflitti interiori, il pentimento e la redenzione finale, così simile all’Innominato di manzoniana memoria.

3. Willalme, il guerriero taciturno e riconoscente che si porta dentro un dolore incolmabile e un odio senza fine per chi glielo ha causato.

4. Henricus Teutonicus: Era un uomo grasso, avvolto in una vestaglia ricamata con motivi orientali, la testa suidata coperta da ciuffi di capelli rossicci. Gli occhi grigi, strettissimi, sovvrastyavano guance paffute e un gozzo carnoso.

Poetiche le descrizioni:

“Folate di vento gelido sferzavano l’abbazia di San Michele della Chiusa, insinuando fra le sue mura un odore di resina e di foglie secche e annunciando l’arrivo di una bufera.”

“La notte diluiva in un mattino grigio e senza luce.Un vento fiacco sfiorava i ciuffi dei canneti.

“La luce delle candele scavava a fatica fra i blocchi di pietra umida, creando guizzi sfuggenti nell’ombra delle nicchie.”

“L’alba si stava affacciando sulle terre d’Occidente.Coronava i Pirenei con la sua luce dorata, metallo incandescente in procinto di liquefarsi e di colare sui pendii in budelli di fuoco.”

L’accurata rappresentazione dell’abbigliamento dei vari personaggi testimonia un’approfondita ricerca storica sugli usi e costumi dell’epoca:

“Portava un elmo conico munito di nasale, un’uniforme bianca smanicata, lunga fino ai piedi e una lancia con cuspide a foglia di salice.”

“Stava avanzando verso di loro un uomo dalla fronte alta e i capelli del colore della cenere, con indosso una tunica gialla orlata con ricami, brache nere e calzari di pelle. Sopra le spalle portava un mantello di velluto rosso.”

“Aveva lunghi capelli neri e un viso regolare, ben rasato, il taglio degli occhi deciso. Sopra l’usbergo indossava un gonel verde decorato con brocche metalliche.”

Geniale l’ideazione dei complicati enigmi, che presuppone conoscenze che spaziano dall’andamento bustrofedico del testo, al provenzale, all’alfabeto ebraico, alla ghimatriah, alla cabala, al quadrato magico, al sistema cosmologico dei Caldei, eccetera; sicuramente in grado di competere, se non superare, con quelli architettati da Dan Brown nel suo “Codice Da Vinci”.

Lo stile dello scrittore è semplice ed efficace, sia nelle descrizioni sia nei dialoghi e il lettore non fatica a seguire il discorso neanche quando si fa didattico, spiegando, ad esempio, l’etimologia della parola “angeli”, con riferimento all’ebraismo, ai Sabei di Harran, e ai magi persiani.

Il finale, di difficile soluzione perché avrebbe potuto travalicare i confini del genere per sconfinare nel “Fantasy”, è, invece, ben gestito dall’autore e, ricco di colpi di scena, si risolve in maniera credibile e concreta.

In definitiva, un romanzo che tutti dovrebbero leggere e, in particolare, chi ama il thriller storico e le tenebrose atmosfere medievali e chi… crede negli angeli e nella possibilità che siano evocati dagli uomini.

Il romanzo fa parte di una trilogia che comprende anche “La biblioteca perduta dell’alchimista” e “Il labirinto ai confini del mondo”, altrettanto appassionanti.

Michele Zoppardo


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