Per aprire il cancelletto, infilò una mano dentro e pigiò il pulsantino rosso sulla toppa, che fece aprire lo scatto. Come gli aveva assicurato Guarneri, la serratura non era chiusa a chiave. Tony percorse il viottolo, piastrellato in cotto, che attraversava il giardino, una volta sicuramente curato e ora arido e abbandonato. La grossa luna piena che brillava quella notte, striata appena da immobili nuvole rossastre, lunghe e strette, rischiarava i rosai rinsecchiti, come pure una forsitsia e una cicas, ormai morte per siccità, e pareva volersi protendere col suo faccione, per spiare ciò che Tony era venuto a fare in quel luogo.
Tony sapeva, perché l’aveva detto l’avvocato Guarneri, che, dopo che la polizia aveva terminato i suoi rilievi, nessuno più era entrato in quella villetta che l’autorità giudiziaria aveva sottoposto a sequestro fino a due giorni avanti, quando erano stati tolti i sigilli, in quanto erano cessate le esigenze probatorie e l’immobile, come diceva il provvedimento, era stato restituito ‘agli aventi diritto’.
Dopo aver aperto il portoncino d’ingresso, di cui l’avvocato gli aveva procurato la chiave, Tony accese la sua torcia, per orientarsi in quell’ambiente sconosciuto.
Avvertì immediatamente che l’aria era irrespirabile e non tanto per l’odore pungente di bruciato che aveva impregnato la casa fin nelle fondamenta e che forse non se ne sarebbe andato mai più, quanto, soprattutto, perché era pervasa da un sentimento di rabbia feroce e incontrollabile che l’ammorbava; quella rabbia cieca che porta a distruggere e ad autodistruggersi e che, per questo, non dà scampo. Era talmente violento questo sentimento da non permettergli di percepire altro. Tony ne ebbe paura e sentì, forte, la voglia di lasciare quella casa immediatamente. Si disse, però, che, se voleva tentare di scoprire la verità su quella vicenda, doveva resistere e controllare le sue paure. Per distrarsi, concentrò la sua attenzione sulla valutazione dei danni provocati dall’incendio.
Il piano terreno, più che dal fuoco, era stato danneggiato dall’acqua immessa dai pompieri per spegnerlo ma, già salendo le scale, che mostravano i gradini di travertino anneriti e il corrimano di legno in parte bruciacchiato, si cominciavano a riscontrare i segni dell’incendio. Di fronte alle scale, c’era la stanza da bagno; a destra, la camera da letto; a sinistra, un corto corridoio che conduceva ad un ripostiglio e ad una cameretta, forse destinata ad accogliere, un giorno, un bambino.
Le fiamme avevano devastato tutto, in special modo la camera da letto, dove Tony era intanto giunto. In mezzo a quella desolazione, non poté fare a meno di pensare che in quelle stanze aveva pulsato, nella sua quotidianità, la vita di due persone, che vi si erano aggirate per tanto tempo con il carico dei loro sentimenti, che là si erano amate, avevano fatto progetti per il futuro, avevano vissuto speranze e delusioni, avevano dormito, si erano augurate il buon giorno e la buona notte.
Ormai, quella vita, per Elisa, si era spenta per sempre e, per Angelo, era irrimediabilmente perduta. Immaginò Elisa che si prendeva cura di quei mobili ora carbonizzati, che sceglieva la coperta più bella da metter sul letto, che riponeva ordinatamente i panni nell’armadio. Adesso nulla restava di tutto questo, solo cenere.
“Così siamo noi esseri umani. Ora ci siamo, ci diamo da fare, ci agitiamo, magari ci arrabbiamo o soffriamo per cose di poco conto, come se la nostra vita dovesse durare per sempre, e un momento dopo il buio eterno, il niente assoluto.”
Questo pensiero suscitò in Tony il desiderio forte che Serafina, in quel momento, fosse là con lui.
Il contatto Tony non lo cercò, anzi, preso dall’intensità di quei pensieri, aveva quasi dimenticato di essere là per questo. Lo stato d’animo in cui si era venuto a trovare, però, senza che se ne rendesse conto, agì da catalizzatore perché egli potesse varcare il confine che separa la dimensione tangibile, che definiamo reale, da quella che chiamiamo extrasensoriale; una dimensione, quest’ultima, che, seppure non riusciamo a vedere e a toccare, esiste come la prima, anche se più aleatoria.
Tony avvertì il gelo della morte e, insieme, una vibrazione dell’aria intorno, che testimoniavano la presenza di un’entità fatta di pura energia.
Senza indugiare, chiese se fosse Elisa, ma non ottenne risposta. Disse, allora, chi era lui e che si trovava là per Angelo, per aiutarlo, perché stava pagando ingiustamente per un delitto che non aveva commesso. La vibrazione si fece più intensa e gli fece male.
Tony aveva portato con sé un’agenda e una penna, che ora teneva in mano, per annotare ciò che sperava di apprendere quella notte qualora il contatto fosse riuscito, consapevole del fatto che lo choc emozionale che consegue a ogni incontro di quel tipo, fa sì che, dopo, alcune cose viste o sentite vengano dimenticate o, quanto meno, non ricordate più lucidamente. Con suo grande stupore, senza che l’avesse minimamente voluto, Tony aprì l’agenda e cominciò a scrivere, sotto silenziosa dettatura.
«Lei sa chi sono?»
Tony aveva scritto al buio, senza vedere né sapere cosa. Lesse quella frase, scritta con una grafia elegante che non era la sua, quando illuminò la pagina bianca dell’agenda con la luce della torcia.
In quel momento, Tony ebbe la certezza che il contatto era stato stabilito.
Rispose di sì, a voce, sicuro che l’entità che si stava manifestando in quel modo fosse Elisa.
«Conosce la mia storia?» fu la seconda frase scritta da Tony sotto la guida di una mano invisibile.
«In parte» rispose.
«Chissà cosa penserà di me!»
«Non sono qui per giudicare. Penso che nessuno abbia diritto di giudicare gli altri, qualsiasi cosa abbiano fatto.»
« E Angelo, cosa pensa di me? Per questo solo sono rimasta, per lui. Perché voglio che sappia che non è come sembra; che sì, l’ho tradito ma lo amo, come non ho mai amato nessuno. E proprio perché lo amavo così tanto, il suo di tradimento mi ha fatto così male e ancora più male mi faceva vedere che non se ne rendeva conto. E’ accaduto tutto per l’amore che avevo per lui. Mi sono presa un’amante per riempire il vuoto che Angelo mi lasciava ogni volta che partiva per i suoi viaggi e, forse, anche per vendicarmi di lui. Poi ho voluto lasciarlo, per amor suo, perché ho avuto paura che potesse compromettere il mio matrimonio. Emanuele, poi non è stato niente, solo uno spaventapasseri per far paura a quell’altro. Non posso andarmene senza che Angelo lo sappia, senza che mi perdoni.»
La penna smise di scrivere.
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