Come nel romanzo ELISA MAIORANO, anche in GELSOMINO ROSSO SANGUE, sono due i temi assolutamente attuali.
Il primo è la dipendenza dal gioco d’azzardo, considerata oggi una vera e propria malattia mentale assimilabile alla dipendenza dalla droga, capace di annientare la volontà di chi ne è affetto, da fargli perdere la dignità, da renderlo schiavo non solo del vizio ma anche di chi ci lucra su come gli strozzini, e da indurlo, per ottenere il denaro che gli necessita in quantità sempre maggiore, a comportamenti criminosi come il furto, la truffa e persino l’omicidio.
Il brano che riporto di seguito è tratto dal capitolo del romanzo Gelsomino rosso sangue:
«Il vizio!» sussurrò. «Il maledetto vizio del gioco, che mi ha preso come
una malattia, come una droga, che non mi faceva capire più niente e mi ha
tolto anche la dignità. Tutto ho perso a causa del vizio e di quel verme»
proseguì, «anche gli affetti più cari…”
Il secondo tema riguarda la brama di successo di tanti giovani che, influenzati e condizionati dai messaggi e dai modelli che provengono dai mezzi di comunicazione di massa, vorrebbero ottenere tutto e subito, senza sforzo, bruciando le tappe, disposti a valicare il confine tra lecito e illecito, perdendo di vista i veri valori, vita compresa.
I brani che seguono sono tratti dal capitolo XVI del romanzo Gelsomino rosso sangue:
“Quando, qualche giorno dopo, Proietti richiamò Sanfilippo era entusiasta.
«Sanfilippo, vittoria! Li abbiamo presi tutti!» gridò nella cornetta.
«Quanti sono?»
«Due, un uomo e una donna. Hanno confessato subito la rapina, ma
entrambi hanno accusato Molteni di essere il solo responsabile degli
omicidi.»
«Ma sono pregiudicati?»
«Ma quale pregiudicati! Hanno il certificato penale immacolato; neanche
una multa. Pensa, s’erano conosciuti in una palestra di un sobborgo di Milano
che tutti e tre frequentavano, nei primi mesi del ’71. Molteni allora faceva il
vigilante e per arrotondare lo stipendio lavorava come buttafuori nelle
discoteche. Besozzi lavorava come autista per l’azienda municipale dei
trasporti pubblici e, nel tempo libero, dava una mano al vecchio proprietario
di un’officina di riparazioni auto, dove aveva lavorato da ragazzetto. La
Valeri era estetista in un negozio di acconciature femminili.»
«E com’è che si sono messi a rapinare gioiellerie?»
«Eh, caro mio! Com’è? È che questi giovani non vogliono più fare
sacrifici; vogliono tutto e subito e questi sono i bei risultati. Dunque, ti dicevo
che questi tre, una parola oggi, un discorso domani, erano diventati amici e si
erano scoperti insoddisfatti dell’onesto e malpagato lavoro che avevano
nonché della vita grigia e senza prospettive che conducevano; tutti e tre con
dei progetti che non avrebbero mai potuto realizzare. Un giorno, Molteni
aveva buttato lì una proposta: “Tre o quattro rapine bene organizzate, lontano
da Milano, truccati adeguatamente, con parrucche, barbe e baffi posticci, con
i guanti per non lasciare impronte. Si fa il colpo e via, si torna a casa.
Nessuno si fa male. Chi ci viene a cercare? Siamo incensurati, lavoriamo tutti
e tre, niente affari di droga, niente amicizie pericolose. Mettiamo un bel
gruzzolo da parte, ci ritiriamo e facciamo il salto di qualità”.”
“Comunque, lesse distrattamente qualche rigo delle dichiarazioni di Katia Valeri: “Inoltre, avevo il compito difare da esca. Mi presentavo per prima nella gioielleria da rapinare. Col miomodo di fare, che ispirava subito simpatia, entravo in confidenza col titolare o con la commessa e li inducevo a tirar fuori dalla cassaforte i gioielli più preziosi. A quel punto, entravano in scena Molteni e Besozzi. Fatta la rapina,chiudevamo i presenti nel bagno o in un ripostiglio e via. Per me era tutto un gioco; mi divertivo molto e guadagnavo un bel po’ di denaro, quanto non ne
avevo mai visto in vita mia. Poi, è arrivato quel maledetto giorno a Roma e il
gioco s’è spezzato.”
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