Capitolo IV – Due donne coraggiose
13 gennaio 1976 - martedì
Don Mario, il parroco anziano ma sempre vispo, aveva organizzato, per i ragazzi dell’oratorio, una gita - pellegrinaggio di quattro giorni, per visitare Santiago di Compostela, dove si crede che riposino le spoglie dell’apostolo Giacomo, il santuario della Madonna di Fatima, con i luoghi dell’apparizione, la città di Coimbra, con la storica università comprendente la meravigliosa biblioteca Joanina e, infine, gli splendidi monasteri di Bathala, nell’omonima località, e dos Jerònimos, a Lisbona. Alle cinque e trenta di quella mattina, piovosa e insolitamente fredda, stava assegnando i posti a una ventina di ragazzi assonnati, sul pullman granturismo messo a disposizione dall’agenzia di viaggi Pitrè.
Faceva ancora buio e i lampioni delle strade erano sempre accesi quando, alle sei in punto, come da programma, il parroco disse all’autista che si poteva partire e sedette sul primo sedile a destra, il posto solitamente occupato dagli accompagnatori delle gite turistiche; ruolo che aveva voluto assumere, unitamente a quello di guida spirituale, perché conosceva bene i luoghi che andavano a visitare per esserci stato più volte.
Alle ore sei e trenta seguenti, Agatina Vetrano, la ragazza delle pulizie, entrò nel bar per fare colazione. L’aspettava una mattinata densa d’impegni; perciò doveva cominciare presto.
«Ma chi caristi dal letto stamatina?» le chiese Teresa, la cinquantenne titolare dell’esercizio.
«Haiu un saccu di chiffari, perciò mi debbo spicciare. Il cappuccino fammillu bello caldo, ca stamatina fa friddu.»
Consumata la colazione, Agatina si avviò verso il vicino ambulatorio medico sito al piano terreno, da dove iniziava sempre il suo lavoro, data la vicinanza al bar. Infilò la chiave nella toppa della porta con chiusura a scatto. Il dottor Calabrese ci aveva fatto mettere la molla perché “certi pazienti maleducati” gliela lasciavano aperta, facendogli gelare tutto l’ambiente d’inverno o facendogli entrare la soffocante afa estiva. Stranamente, la porta non era chiusa a chiave.
“Ma chi fa, se lo scordò?” si chiese la ragazza. “Con l’età, u dutturi accumincia a essere anticchia stunatu.”
Entrata, Agatina attraversò la sala d’aspetto e raggiunse il ripostiglio. S’infilò i guanti di gomma, prese scopa, spazzolone, secchio con l’acqua e detersivo e, mentre si accingeva a entrare nello studio, notò una seconda stranezza. La porta da cui si accedeva, che il dottore chiudeva sempre alla fine delle visite, era socchiusa. Agatina pensò che forse il dottore, la sera prima, aveva dimenticato qualcosa e ora era passato a prenderla. Così, chiamò timidamente: «Dottore? Che c’è lei?» Nessuno rispose. La ragazza cominciò ad aver paura. “ Ma chi ci su i latri?” si chiese. Posò a terra il secchio e gli altri attrezzi e impugnò lo spazzolone a mo’ di arma. Si avvicinò piano e infilò cautamente il naso dentro. Subito dopo, cacciò un urlo e svenne.
Teresa, che stava preparando un caffè per un cliente, udì quell’urlo. “Ma chi fu Agatina?” si domandò. Immediatamente corse all’ambulatorio, lasciando che il caffè continuasse a fluire dalla macchina, traboccando dalla tazzina. Spalancò il portoncino d’ingresso, che Agatina aveva lasciato accostato, attraversò la sala d’aspetto e trovò la ragazza lunga distesa davanti alla porta dello studio.
«Agatina, ma chi fu? Bedda matri! Ma chi ti sintisti male?»
Cercando di sollevare la ragazza per metterla a sedere, Teresa, inavvertitamente, con un’ancata spalancò la porta rimasta socchiusa e a vedere lo spettacolo che le si presentò: «Madonna mia benedetta!» esclamò solamente e svenne anche lei, rischiando di crollare addosso alla ragazza in soccorso della quale era accorsa. Agatina fu la prima a riprendersi e aiutò Teresa a tornare in sensi e a rialzarsi.
«Bedda matri, u dutturi ammazzaru!» esclamò la ragazza, visibilmente scossa.
«Maria che impressione! A testa fracassati avi! E tuttu quel sangue!» replicò la barista.
«Ma tu com’è ca ti attrovi ccà?» chiese Agatina.
«Picchì ti ho sentita gridare e mi scantai. Pinsai ca avevi bisogno d’aiuto e currivu.»
«Mih! E accussì m’aiutasti, ca pi picca non mi scafazzavi, se mi cadevi di sopra?»
«E chi ci pozzu fari? M’impressionavi e svenni. Tutto mi potevo aspittari ma no di vedere sta carneficina. Ma perché, tu che hai fatto? Non sei svenuta macari tu? E poi, invece di ringraziari ca lassavi tutti cosi per venire a aiutarti, ti lamenti puru!»
«Hai ragione; scusami Terè, ma arristai un pocu stunata, comu si m’avissiru datu una botta in testa. A stu momento, mi pari ca non saccio quello che dico. Però - senti - la Polizia dobbiamo chiamare, subito!» affermò Agatina.
«Vado a telefonare io dal bar, accussì mi pigghiu pure un cafè doppio, ca mi veni di svenire un’altra volta. E poi lassavi Franchino senza cafè, perché ce lo stavo facendo quando ti mittisti a vuciari.»
«Aspetta, Terè! Vegnu cu tia, picchì ccà m’impressiono.»
Comentarios